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Corte d'Appello: l'uso cellulare può causare tumore

Sanità pubblica Redazione DottNet | 14/01/2020 20:06

A Torino confermata la pronuncia d'Ivrea del 2017. Si riapre dibattito, ma non ci sono evidenze scientifiche

Prove per la scienza, finora, non ce ne sono, ma nel giudicare la causa di un dipendente Telecom Italia colpito da neurinoma del nervo acustico, la Corte d'Appello di Torino non ha avuto dubbi. Per i giudici di secondo grado, che hanno confermato la sentenza pronunciata nel 2017 dal tribunale di Ivrea, c'è un nesso di causa-effetto tra quel tumore al cervello - benigno ma invalidante - e l'abuso del cellulare. Confermata dunque la condanna nei confronti dell'Inail, che dovrà corrispondere all'uomo una rendita vitalizia da malattia professionale, con una decisione destinata a riaprire la discussione sulle conseguenze dell'eccessiva esposizione alle onde elettromagnetiche.

"Basta usare il cellulare trenta minuti al giorno per otto anni per essere a rischio", sostengono gli avvocati torinesi Stefano Bertone e Renato Ambrosio, dello studio Ambrosio&Commodo, legali di Roberto Romeo, l'uomo colpito dal tumore a cui i giudici hanno riconosciuto il risarcimento. "La sentenza è storica, come lo era stata quella di Ivrea", sottolineano i suoi legali, gli avvocati Stefano Bertone e Renato Ambrosio, dello studio Ambrosio&Commodo di Torino. "La nostra è una battaglia di sensibilizzazione - dicono -: manca informazione, eppure è una questione che interessa la salute dei cittadini". Il rapporto dello scorso agosto su 'Esposizione a radiofrequenze e tumori' curato da Istituto superiore di sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea - il più recente studio sul tema - era però di ben altro avviso. Non ci sono al momento, dopo 20 anni di studi, prove scientifiche sul nesso tra l'uso del cellulare e l'insorgenza di tumori, recitava lo studio dell'Istituto superiore di Sanità.

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L'uso prolungato dei telefoni cellulari, su un arco di 10 anni, scrivevano, non è infatti associato all'incremento del rischio di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari). La Corte d'Appello di Torino, sulla base di nuove perizie medico tecniche, scrive invece che ci sono "solidi elementi per affermare un ruolo causale tra l'esposizione dell'appellato alle radiofrequenze da telefono cellulare e la malattia insorta". In sintesi: Romeo si è ammalato per colpa del tempo passato al telefonino. "Ci auguriamo che questa decisione spinga anche i genitori - è l'auspicio dei legali - a riconsiderare il loro rapporto e soprattutto quello dei loro figli con i dispositivi mobili". Quanto ha già fatto Romeo. Da quando ha scoperto il tumore, l'uomo gira l'Italia da Nord a Sud e organizza incontri nelle scuole e negli uffici per discutere il problema. "Questa sentenza promuove l'informazione sui rischi del cellulare, è un incentivo importante - sostiene - Ma non è abbastanza. Lo Stato dovrebbe informare i cittadini, come con le sigarette. Invece, nelle pubblicità, si vedono sempre più bambini con i telefonini in mano. Non si tratta di una questione educativa, ma di salute. Una volta c'era il telefono via cavo - conclude - Più scomodo, certo. Ma non ha mai ucciso nessuno".

Non ci sono prove scientifiche

Non ci sono al momento, dopo 20 anni di studi, prove scientifiche sul nesso tra l'uso del cellulare e l'insorgenza di tumori. L'uso prolungato dei telefoni cellulari, su un arco di 10 anni, non è infatti associato all'incremento del rischio di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) secondo quanto emerso dall'ultimo Rapporto Istisan 'Esposizione a radiofrequenze e tumori' curato da Istituto superiore di sanità (Iss), Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea pubblicato lo scorso agosto, che arriva dunque ad una conclusione differente rispetto a quella della Corte d'Appello di Torino secondo cui l'uso prolungato del telefono cellulare può causare tumori alla testa. I dati attuali, tuttavia, si precisa nello studio Iss, "non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell'uso del cellulare iniziato durante l'infanzia".

In base alle evidenze epidemiologiche attuali, spiegano i ricercatori nel Rapporto, "l'uso del cellulare non risulta associato all'incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle Radiofrequenze durante le chiamate vocali. La meta-analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva, infatti, incrementi dei rischi". Anche rispetto alla valutazione dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell'Onu nel 2011 - che ha classificato le Radiofrequenze nel gruppo 2B ("possibili cancerogeni") - le stime di rischio considerate in questa meta-analisi, si precisa nel Rapporto, "sono più numerose e più precise". Sempre nel Rapporto Iss, gli esperti affermano inoltre che "i notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi non sono coerenti con l'andamento temporale dei tassi d'incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall'introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione".

Tuttavia, attualmente "sono in corso ulteriori studi - si precisa nello studio - orientati a chiarire le residue incertezze riguardo ai tumori a più lenta crescita e all'uso del cellulare iniziato durante l'infanzia". Nel rapporto si evidenzia pure che "l'ipotesi di un'associazione tra Radiofrequenze emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile, suggerita da alcune analisi di correlazione geografica, non appare confermata dagli studi epidemiologici con dati individuali e stime di esposizione". La questione resta però dibattuta e nel gennaio 2019 il Tar del Lazio ha stabilito, accogliendo parzialmente un ricorso proposto dall'Associazione per la Prevenzione e la Lotta all'Elettrosmog, che i ministeri dell'Ambiente, della Salute e dell'Istruzione devono adottare una campagna informativa sulle corrette modalità d'uso di telefonini e cordless e sui rischi per la salute e per l'ambiente connessi a un loro uso improprio. La sentenza stabiliva anche che tale campagna informativa dovesse essere attuata "entro sei mesi".

Sulla questione dell'uso di questi dispositivi si è espressa con un 'position paper' anche la Società Italiana di Pediatria. Il consiglio è di evitare l'esposizione prolungata, anche se in questo caso, più che i rischi legati alle radiazioni, sulla raccomandazione pesano quelli, invece già accertati, per lo sviluppo cognitivo, il sonno e il metabolismo. 

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